Mondiali di calcio 2010

Mondiali a casa, i luoghi di un continente in fermento    English Version


Per la prima volta i Mondiali di calcio del 2010 si sono giocati nel continente africano; mentre in tutto il globo le partite venivano trasmesse su megaschermi e televisori al plasma, l’Africa ha vissuto le partite dell’Ellis Park Stadium di Johannesburg o del Royal Bafokeng Stadium di Rustenburg in un fermento fuori dal comune.

Lontano dai riflettori del Sudafrica, gli africani attendono con ansia l’inizio di questo grande evento e forse dell’ultima possibilità di essere “visti” e “ascoltati”. Nei villaggi ci si organizza con l’elenco degli incontri, si cerca la frequenza giusta di una TV riparata durante la cerimonia di apertura e ci si riunisce davanti a piccoli e grandi schermi improvvisati, dopo una giornata di lavoro, per condividere momenti di entusiasmo e ricordi.

Dal Malawi allo Zambia e dalla Tanzania al Mozambico nascono piccoli capanni spartani, ma provvisti del necessario per seguire gli incontri. Un piccolo e importante business per una comunità che non assomiglia per niente a quella del Sudafrica. Niente striscioni, niente sciarpe, niente cappellini, niente gadget dei mondiali. Basta la maglietta di Ronaldinho, lisa e bucata di un bambino durante Giappone-Camerun a sancire il contrasto di un continente che abbiamo imparato a non guardare.

A Lilongwe, dove televisore, decoder e casse sono un bene prezioso da barricare dietro sbarre d’acciaio insieme ad uno sponsor ufficiale come Coca Cola, non basta il goal dei Bafana-Bafana per vincere la prima partita, forse la più importante per l’intero continente, ma il fervore e l’adrenalina scatenano nostalgie e ricordi di un vecchio album di spogliatoio. Un pubblico africano che guarda le partite dalle grate di una finestra, ironicamente sormontata da un artigianale logo della Coca Cola e approfitta dell’intervallo per grigliare in strada qualche pezzo di capra. Intervalli che consentono agli uomini dei villaggi riuniti davanti ad un piccolo schermo, costato tempo, denaro e sacrifici, di fumare una sigaretta e scaldare l’acqua per cuocere lo Nsima, la classica polenta africana da consumare tutti insieme a fine partita.

Partite e intervalli seguiti da molti senza smettere di lavorare come nei supermercati o nei ristoranti delle grandi città, nei locali per ricchi, nei villaggi, ma anche nelle case. La gioia per il Ghana in contrasto con la delusione dei Bafana-Bafana hanno unito i destini degli africani.

Le vuvuzela inneggiano anche negli stadi delle capitali durante gli incontri delle squadre locali e sono rimasti l’emblema di un evento, il simbolo di un continente che con forza ha voluto farsi “sentire”, ma che con ogni probabilità, spenti i riflettori è tornato a non essere ascoltato.

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